Il sogno di ognuno è fare un lavoro che ci appaghi, che ci ispiri, che ci appassioni e ci dia gioia.
L’occupazione lavorativa investe gran parte delle nostre giornate, e avere un lavoro che non piace equivale a una relazione malfunzionante.
Ma quale può essere considerato il nesso vincente tra la felicità e il dovere?
La mia personale risposta è: la libertà di scelta.
Quando parliamo di lavoro, ci riferiamo all’età adulta, ma le radici di questa scelta si intersecano a monte, negli anni della nostra crescita, nella scelta della scuola.
Già da quando eravamo ragazzi, ci siamo interrogati sul nostro futuro, e possiamo dividerci in due categorie:
– quelli che sono stati liberi di scegliere
– quelli che sono stati obbligati a una scelta
Se rientriamo tra i primi, siamo molto fortunati. Siamo stati benedetti da una libertà fantastica, della quale essere grati per tutta la vita.
Se rientriamo nella seconda categoria, molto probabilmente abbiamo maturato nel tempo una trasformazione delle nostre capacità e volontà, passando attraverso quello che non ci piace abbiamo attivato resilienza e cambiamento, o forse siamo, nel peggiore dei casi, ancora fermi nell’insoddisfazione.
Essere liberi di scegliere significa avere una potere fantastico.
Il potere di leggere dentro di noi ciò che ci illumina, ci riempie, ci ispira. Ci spinge ad andare avanti con amore e desiderio.
C’è una citazione famosa di Confucio che dice:
“Scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua.”
La amo. È verità.
Forse non abbiamo mai riflettuto su quanto ringraziare i nostri genitori per averci lasciati liberi di scegliere.
Ringraziamoli anche se ci hanno costretto a fare qualcosa che non ci andava, perché ci ha fatto escludere la strada che non sentivamo nostra.
Questo, traslato nella responsabilità che abbiamo verso le giovani generazioni, i nostri figli o i bambini che educhiamo, sia un monito per noi per ricordarci che solo lasciando liberi gli altri, possiamo aiutarli a essere davvero felici con se stessi.
Allora oggi, ringraziamo, dentro di noi, chi ci ha lasciati liberi di scegliere.
Io ringrazio mia madre, perché è da 31 anni che sento questa frase: “Basta che te sie contenta ti”.
Se il lavoro sarà sempre più una vocazione, allora il mondo sarà pieno di appassionati che porteranno piccoli grandi cambiamenti.
Ne abbiamo la prova in questo momento, in cui medici appassionati fanno turni struggenti per onorare la propria vocazione.