Andare a scuola non significa soltanto imparare nozioni, apprendere, seguire programmi. A scuola si svolge un percorso di crescita e consapevolezza che getta le basi dell’essere umano per tutta la vita.
Non è facile oggi il ruolo dell’educatore, dell’insegnante, che sempre più dovrebbe partire da una vocazione, una chiamata, una spinta che viene dall’anima. Un desiderio forte di aiutare i giovani alunni a crescere, maturando in bellezza, saggezza, conoscenza e… direi, non da meno, in felicità.
Formare essere umani, con l’intento di contribuire allo sviluppo di bellezza, equanimità, dignità, è una missione.
Insegnare è un lavoro molto difficile.
Come ci ricorda Galimberti, oggi i giovani vivono una fase di nichilismo, ma è compito dell’adulto interessarsi alla loro felicità, prima di tutto in un atteggiamento di ascolto, attenzione, cura.
Sappiamo che l’esempio è vitale, molto più di mille sermoni e teorie pedagogiche… per cui, come sarebbe una scuola piena di insegnati entusiasti, con il cuore carico di felicità, che sprizzano vitalità e amore per la vita e per l’apprendimento in ogni modo e ogni momento?
Come funzionerebbero i neuroni a specchio degli alunni se vedessero davanti a sè persone felici?
Provare felicità e gioia per quello che si fa, accende l’interruttore della contentezza anche negli altri, come se fosse un contagio meraviglioso.
Ascolto profondo e parole amorevoli possono abbattere alcuni muri di formalità e instaurare rapporti di compassione e comprensione reciproca.
Infondo, ogni educatore è un costruttore di felicità.
Basterebbe guardarsi negli occhi un po’ di più, chiedersi come si sta, mettersi nei panni dell’altro e non temere di amare le storie che si celano dietro un grembiule o uno zaino.
Insegnanti felici cambiano il mondo.